Tratto dal Foglio

A cosa serve l'ospedale “omeopatico” di Pitigliano? | Il Foglio

Non è facile arrivare a Pitigliano, per chi si aspetta che la Maremma sia solo una striscia di pianura lambita dal Tirreno e percorsa dalla Via Aurelia. No, per arrivare a Pitigliano la Maremma devi attraversarla tutta, verso l’interno, e scoprire quanto sia profonda e, a tratti, sperduta e desolata. E’ la sua fortuna, per certi versi, e te ne accorgi d’estate, quando le strade di questo borgo arrampicato su un incredibile costone di tufo brulicano di turisti e villeggianti. Il resto dell’anno la storia è un po’ diversa, le strade sono vuote, i portoni delle seconde case sbarrati, e gli abitanti sanno bene che se a Pitigliano è difficile arrivare, può essere ancora più difficile da Pitigliano andare altrove. Ad esempio quando stai male.

La storia dell’ospedale di Pitigliano, quindi, somiglia a quella di molti piccoli ospedali di piccoli centri di provincia, in zone scarsamente popolate. Con poche decine di posti letto, e un servizio per forza di cose più costoso che efficiente, della chiusura dell’ospedale di Pitigliano si è parlato spesso, tra proteste degli abitanti, suppliche alle istituzioni, promesse della politica che si trova a fare i conti con errori gestionali del passato ai quali oggi è difficile trovare soluzione se non con tagli dolorosi. Il tutto mentre è sempre più difficile distinguere tra i reali problemi del territorio e la difesa corporativa delle rendite e degli interessi locali che ruotano attorno a un presidio ospedaliero, per quanto piccolo e sempre più inutile.

Gli ospedali infatti non servono solo a curare gli ammalati: gli ospedali danno lavoro, sostengono un indotto, garantiscono una rete di relazioni che al momento giusto si trasforma in consenso elettorale. Alla politica non piace chiudere gli ospedali, per ragioni che hanno più a che fare con la loro funzione “secondaria”, che con quella principale. E infatti se oggi l’ospedale di Pitigliano non è stato ancora chiuso, non lo si deve alla sua capacità di fornire un servizio utile ed efficiente ai cittadini: il reparto di chirurgia non c’è più da anni, per partorire bisogna mettersi in macchina per quasi due ore e correre a Grosseto, o andare fuori Regione, a Orvieto dove si arriva in un’ora o a Viterbo, ancora più distante. E se il pronto soccorso è in perenne rischio di chiusura e il posto del cardiologo è vacante, in compenso a Pitigliano c’è dal 2011 un Centro di Medicina Integrata, dove – recita il sito dell’Azienda USL 9 di Grosseto, si “prevede l’utilizzo della medicina ufficiale in maniera integrata con le medicine  complementari normate dalla Regione Toscana (agopuntura, omeopatia, fitoterapia) nella cura di alcune patologie diffuse nella  popolazione”. In parole povere, l’ospedale di Pitigliano è stato salvato dalla chiusura svuotandolo delle sue funzioni e trasformandolo in una mecca per creduloni a spese della collettività.

Se ne sta ricominciando a parlare in questi giorni, dopo la pubblicazione in Australia di una meta-analisi redatta dal National Health and Medical Reseach Council, che ribadisce (non è il primo studio del genere sull’argomento) l’inutilità dell’omeopatia nella cura di qualsiasi patologia alla luce di una revisione sistematica di tutte le ricerche sull’argomento: “Non ci sono malattie per le quali vi sia una evidenza affidabile che l’omeopatia sia efficace”. Nulla più di un placebo, somministrato in granuli di zucchero. Lo zucchero più costoso del mondo, come rilevava tempo fa Dario Bressanini su Le Scienze facendo la proporzione tra il prezzo di vendita dell’Oscillococcinum (uno dei rimedi omeopatici più diffusi) e il suo peso: 2150 euro al kg per dei preparati che non contengono altro che saccarosio e lattosio.

E che vengono somministrati a spese del Servizio Sanitario Nazionale in un presidio ospedaliero dal quale invece i servizi utili sono stati eliminati. Che senso ha?

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Dott. Fisico Giovanni Gavelli - Studio di Fisica Applicata

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